Rileggendo quello che ho scritto ieri mi sono resa conto di quanto sono confusa. Non riesco nemmeno ad esprimermi. Provo una fatica terribile a schiacciare i tasti. Non so come continuare un pensiero. Ho passato tutta la giornata ad urlare sputando veleno. Sono stanca. Vorrei forse che urlando a squarciagola come ho fatto oggi potesse uscire tutta la rabbia che provo, una volta per tutte. Normalmente cerco di contenerla, di pensare ad altro, di dimenticare. Perchè è faticoso vivere così. Ma risulta faticoso anche fare finta di niente, cercare di portare avanti una vita a metà, ad un quarto, facendo finta che sia normale, cercando di accontentarsi. E domani è un altro giorno da vivere a metà, senza speranza. Perchè in ogni caso, per quanto io possa fare, la mia vita non sarà mai più quello che sarebbe potuta essere. E la cosa più triste è che tutto quello che è successo e le conseguenze che ha portato non hanno nessuna motivazione. Non a causa di una malattia, non per cause economiche o di classe sociale. Solo grazie all'indifferenza grossolana, all'egoismo, al deserto interiore di chi mi stava intorno. E senza alcun motivo apparente questo comportamento è stato messo in pratica solo nei miei confronti. E io mi vergogno tanto, come un bambino vittima di stupro, di non essermi saputa difendere. Mi vergogno tanto. Una grande parte della mia rabbia è diretta contro me stessa. E anche se so che ho provato a difendermi con tutte le mie forze, mi dico che non ho fatto abbastanza. Anche se so che qualunque mio tentativo di ristabilire un pò di equilibrio, di giustizia mi si ritorceva contro: come osavo mettere in discussione il loro giudizio, era meglio far finta di non aver sentito quello che dicevo, ero un'ingrata e un'egoista. Io, non loro. Speravo che le cose cambiassero, pregavo che cambiassero. Mi si insinuava il dubbio che avessero ragione loro. Ma Dio è un santo che non fa miracoli. La mia storia è una storia di abusi psicologici e di sette. L'idea di Dio permeava qualunque aspetto della vita, da come ci si vestiva a come ci si sedeva in pubblico e in privato a quello che si mangiava a chi si frequentava. La qualità e la quantità di preghiere da recitare ed a quali ore, spesso avevo l'obbligo di svegliarmi anche di notte.
Io sono nata quando i miei già appartenevano a questa setta. Ero completamente permeata da quelli che venivano definiti come gli insegnamenti che ci erano stati donati. Fin da bambina sono stata iniziata al segreto, all'importanza di appartenere a questa cosa così grande la cui riuscita poteva dipendere anche da me, dal mio silenzio, dal mio esempio nel mondo. Mi rigiravo in queste maglie che stringevano sempre di più, fino a quando ho cominciato a soffrire anche fisicamente. Dolori addominali atroci senza nessuna causa somatica, svenimenti. E poi non riuscivo più a leggere. Ne sono uscita solo quando sono riuscita ad estirpare l'idea di Dio dentro di me. Ma siccome ormai essa stessa era parte integrante della mia persona è stato un processo lungo e doloroso e che ha lasciato dentro di me un enorme vuoto. Con tutti gli psicologi che ho incontrato non sono mai riuscita a parlare di questa esperienza. Un pò perchè ancora dentro di me c'è un dictat che mi impone il silenzio, immediatamente mi sento un delatore (conosco tante persone che ancora fanno parte di questa setta e che non hanno meritato il mio disprezzo).
Un pò perchè ogni volta che ho cercato di aprire questa porta mi hanno impedito di farlo, il più delle volte cambiando argomento, altre dicendomi che c'erano altre urgenze.
Non so perchè sia stato messo in moto questo meccanismo. Credo che rispetto alle sette ci sia sempre un sentimento di tabù, una paura di ciò che è ignoto.
Ma lo giuro, da domani cercherò qualcuno che sia esperto di deprogrammazione.
Una flebile speranza: forse è questa la strada per uscire da questa vita interrotta?
domenica 28 ottobre 2007
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